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Omicidio di Santo Romano: il 17enne indagato spiega tutti i dettagli dell’atto terribile (le versioni lasciano senza parole)

Omicidio Santo Romano, il 17enne indagato da delle versioni contrastanti: ecco i dettagli e le curiosità della vicenda

Un tragico episodio di cronaca ha scosso la cittadina di San Sebastiano al Vesuvio, dove un 17enne è accusato dell’omicidio di Santo Romano. La vicenda è avvolta in un clima di tensione e confusione: il giovane, attualmente in una comunità e sotto la sorveglianza della giustizia, sostiene che tutto sia iniziato a causa di un inaspettato battibecco per un pestone sulle sue calzature firmate Versace. I dettagli emersi dai verbali e le testimonianze delle persone presenti pongono interrogativi inquietanti su ciò che è realmente accaduto quella fatidica notte.

Il racconto del giovane, riportato nei verbali, è piuttosto incredibile per la sua banalità: “mi hanno calpestato le scarpe, sono di Versace, le ho pagate 500 euro”. Questa frase, di per sé superficiale, ha generato una lite che si è tramutata in un vero e proprio dramma. Durante l’incontro tra il ragazzo e la vittima, la tensione è salita a livelli insostenibili. I testimoni hanno dichiarato di aver visto il ragazzo sparare due colpi di pistola contro Santo e il suo amico, che è rimasto ferito al gomito. Le immagini delle telecamere di sorveglianza e le testimonianze fotografiche non sembrano lasciare alcun dubbio sulla gravità della situazione. Santo Romano, una volta colpito, secondo quanto riportato, si sarebbe alzato la maglietta per mostrare il buco ricevuto nel suo petto, prima di cadere a terra.

Le versioni e le testimonianze contrastanti

Il rientro sulle dichiarazioni del ragazzo non è semplice. Secondo quanto anticipato dall’edizione napoletana di Repubblica, il giovane non ha solo commesso un omicidio ma sembra avere una lunga storia di violenze: una lite recente lo ha visto coinvolto in un episodio in cui avrebbe puntato una pistola contro un altro ragazzo. Evidentemente, il gip Anita Polito ha deciso di non accogliere la narrazione dell’indagato, rigettando la possibilità di legittima difesa. L’avvocato, Luca Graviele, ha già preannunciato una perizia psichiatrica, sottolineando un passato turbolento e una lunga lista di precedenti penali che gravano sulle spalle del suo assistito. Queste circostanze lasciano presagire difficoltà nel tracciare una linea netta tra responsabilità e fragilità mentale.

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La fuga e il dopo: dai colpi di pistola alla marijuana

Dopo l’atto di violenza, il ragazzo avrebbe tentato di fuggire. Nonostante non avesse la patente, ha preso la Smart di famiglia per driblare i carabinieri che stavano accorrendo sulla scena. Ha cercato rifugio in una zona più affollata, facendosi strada tra la folla di Chiaia dove ha abbandonato la pistola. Non solo, ha anche distrutto la scheda del suo telefonino, gettandola in un tombino, un gesto che denota un certo livello di premeditazione nei suoi atti, nonostante la sua versione dei fatti sembri puntare verso una sorta di impazzimento temporaneo.

Sfumature di irresponsabilità e un uso sconsiderato di sostanze stupefacenti si mescolano in questa storia. Dopo aver scavallato il dramma, il giovane ha trovato rifugio a casa di un amico, dove sarebbe poi andato a fumare marijuana. L’avvocato ha portato in aula una perizia medica del maggio 2022, che attestava una patologia psichica tale da indicare la non imputabilità del suo assistito. Ma, come ha deciso il gip, non è stata riconosciuta alcuna forma di incapacità, neppure parziale. La lucidità mostrata dal ragazzo durante le sue dichiarazioni fa emergere una discordanza che mina le sue affermazioni e lascia pensare a un tentativo di svincolarsi dalle responsabilità.

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